Uno dei miei film preferiti è Road to Perdition, barbaramente tradotto con il titolo di “Era mio padre”, un titolo che è praticamente uno spoiler della trama. Quando mio figlio ha visto questa foto la prima cosa che ha detto è stata “papà, ma non era pericoloso, eri in mezzo alla strada?!”. Ho risposto di no perché il rettilineo è lunghissimo, diversi chilometri, e di notte è possibile sentire e vedere le macchine molti minuti prima che arrivino. In realtà questo rettilineo è stato significativo del percorso apparentemente limpido e semplice che poi invece diventa accidentato da un momento all’altro, senza preavviso. Un lavoro, detto senza false modestie, strepitoso portato a casa da me e Alessio, inficiato da un gesto vile, stupido, barbaro che ci ha privati, prima che dell’attrezzatura, della felicità, dell’orgoglio di essere riusciti nonostante le già tante difficoltà che si erano parate di fronte a noi. Basta un colpo ben assestato su di un finestrino di un’anonima macchina a noleggio per trasformare un pomeriggio da leoni, in una serata a spiegare come diavolo recuperare un po’ di attrezzatura alla Guardia Civil. Ma l’entusiasmo è duro a morire, non potrà scomparire nonostante tutto. E’ un colpo duro, ma la corazza ce l’abbiamo, ed è una corazza cresciuta in tanti anni sul campo a fare esattamente quello che più ci piace. Non siamo eroi, se stiamo a – 5 gradi a 2500 metri mentre tutti dormono lo facciamo, prima di tutto perché ci piace. Perché sono momenti nei quali si ride, si scherza, si guarda la luna spuntare, ci si si chiede chi ce lo fa fare, ma poi si ride, sempre. E sempre continueremo a ridere mentre camminiamo verso Perdition… Road to Perdition